Fusione oro e tecniche di lavorazione
L’oro è un metallo, giallo, duttile e malleabile. In natura si trova sotto forma di pepite, pagliuzze e grani.
Si estrae dalle miniere o si trova nei depositi alluvionali. Ha numero atomico 79 e simbolo Au, dal latino aurum.
Nessun acido riesce ad intaccarlo, reagisce solamente con l’acquaragia e con lo ione di cianuro.
Forse anche per questo motivo quasi tutto l’oro estratto dall’antichità ad oggi è ancora in circolazione.
Fonde a 1064 gradi centigradi. Classica è l’immagine del crogiolo dove si vede la colata dell’oro liquido.
Fin dalla preistoria l’uomo lo ha usato per forgiare gioielli con i quali adornarsi e, in seguito, anche per coniare monete.
Gli oggetti religiosi più sacri erano d’oro. È menzionato più volte nell’Antico Testamento.
Gli Egizi, così come i Nubiani, furono dei grandi produttori ed utilizzatori di questo prezioso metallo.
Circa seicento anni prima della nascita di Cristo, in Lidia vennero coniate le prime monete auree.
L’oro viene fuso in forni che raggiungono temperature altissime.
Dato che solidifica abbastanza velocemente, deve essere immediatamente versato in stampi di ghisa o grafite per impedire una stratificazione non omogenea e anche per depurare, se così si può dire, l’oro da altri elementi che sono serviti per dare una determinata colorazione o aumentare il grado di durezza.
Oltre che per gioielli e monete questo particolare metallo viene utilizzato anche per oggetti più massicci come coppe o vassoi o piccoli come parti per leghe dentarie o microcircuiti.
Una tecnica di lavorazione che arriva dal passato e ancora viene usata è la cosiddetta presa nella massa.
L’oggetto viene abbozzato su di una incudine e poi rifinito utilizzando lime o scalpelli fino a raggiungere la forma e l’effetto desiderato.
Legando, in proporzioni determinate, l’oro con altri metalli si ottengono vari colori.
Per esempio unendo con del palladio avremo oro bianco, con del rame avremo un bel rosso, verde con l’argento e blu con il palladio.
Fino ad arrivare ad un particolare rosa con opportune aggiunte di argento e rame.
Partendo dall’epoca dell’impero egizio ed arrivando fino circa al 1700 si può notare i grandi progressi raggiunti dagli artigiani orafi.
Un grado di bravura talmente alto, da essere in grado di lavorare il metallo con una precisione infinita, che utilizzavano più che altro per la produzione di arredi sacri.
Battendo la superficie o la parte inferiore di una lamina potevano riprodurre scene particolari, quasi come se usassero il pennello di un pittore.
Anche l’incisione e la cesellatura hanno bisogno, per essere considerati un’opera d’arte, di una precisione e di una bravura infinita.
Nel primo caso l’orafo, o incisore che dir si voglia, con uno strumento tagliente porta via delle minuscole strisce di metallo, chi cesella invece usa una punta smussata che, tramite l’uso di un martello, batte sull’oggetto per ottenere quanto voluto.
Entrambi sono tecniche molto particolari e quindi apprezzate.
L’oro, come già detto, non può essere attaccato da agenti chimici, ma può esserne opacizzato per creare effetti particolari, in contrasto con le parti rimaste lucide.
Mentre per ossidare l’argento, veniva usato lo zolfo.
Per l’oro è possibile ottenere un effetto lucido o opaco incidendo tante righe sottilissime.
La doratura e l’intarsio sono altre due tipi di lavorazione che permettono di ottenere risultati molto interessanti.
Come dice la stessa parola per ottenere la doratura si ricopre parzialmente o interamente un oggetto fabbricato con un altro metallo, meno prezioso, per far risaltare la parte in questione.
Per ottenere effetti di lucido e opaco, gli etruschi, circa cinquecento anni prima della nascita di Cristo, facevano aderire della limatura d’oro su superfici lisce.
L’intarsio è una tecnica ancor più elaborata ma, se ben eseguita, molto scenografica.
Nel manufatto scelto vengono inseriti particolari di un altro materiale.
Furono gli arabi in Siria, nel medioevo, a perfezionare un particolare tipo di intarsio usando fili sottilissimi di oro e di argento.
Questa tecnica è anche chiamata damaschinatura. Un altro tipo di intarsio è il niello.
Si tratta di una lega metallica, nera, creata usando rame, zolfo, argento e, a volte, anche piombo, che serve come riempimento per le incisioni fatte a bulino.
Una lavorazione che ricorda molto il pizzo è la filigrana.
Tecnica orafa che intreccia sottilissimi fili di oro e argento. Usata per spille o anelli con risultati di estrema leggerezza visiva, questa tecnica è molto utilizzata in Sardegna.